giovedì 17 marzo 2016
memories/no memories (fotografia fra flusso e ricordo), a cura di Sandro Bini e Giulia Sgherri
“Memories/No Memories” è il progetto fotografico a cura di Sandro Bini e Giulia Sgherri che si interroga sul cambiamento di funzione sociale della fotografia introdotto dalla rivoluzione digitale e in particolare sul rapporto della fotografia con la nostra memoria. Per questa prima fase del progetto sono stati invitati a confrontarsi sul tema tredici fotografi italiani che hanno affrontato il concetto da prospettive personali e diversificate. Seguirà più avanti una call aperta a tutti i fotografi per incrementare proposte e prospettive e costruire un osservatorio ancora più ricco e diversificato.
Partner del Progetto Associazione Culturale Deaphoto e Clic.hè Webmagazine di fotografia e realtà visuale.
Autori selezionati nella Open Call di Febbraio 2016:
· DANIELE BRESCIA –LIGHT ON ME
· SOFIA BUCCI-IL SAPORE DELLE FOGLIE
· NATHALIE DEPOSE-FAMILY HOUSE
· GIULIA FRANCINI-RUMORE BIANCO
· ADINA IONESCU MUSCEL- GETTING THE EXTRA BEATING HEART OUT OF MY CHEST
· GABRIELLA MARTINO.IL NIDO DEL CUCULO
· NOVELLA OLIANA-LE LISTE VERTIGINOSE
· DUCCIO RICCIARDELLI-TATTILE PSICHICO
· MICHELE SPAGNOLO-VALENTINA IN LIBIA
· MATTIA TOSELLI-NON HO MEMORIA DI QUESTO LUOGO
· CLARA TURCHI ROSE-PERSISTENZA DELLA MORTE (DESIDERIO DI MEMORIA)
Per ulteriori informazioni:
memoriesnomemories.tumblr.com
memoriesnomemories@gmail.com
giovedì 18 giugno 2015
Fotografare ai concerti live, una fotografia fatta di tecnica e cuore – parte 3
Presentiamo ai lettori di Fotobiettivo una serie di articoli dedicati alla fotografia di concerti. Gabriele Bientinesi, responsabile per la comunicazione e la fotografia al Festival Musicastrada e fondatore della scuola Fotografando, accomunando la sua passione tanto per la musica che per la fotografia, ci apre al mondo della fotografia live con un taglio didatticamente rigoroso e al contempo coinvolgente…
…continua da : Fotografare ai concerti – parte 1
…continua da : Fotografare ai concerti – parte 2
8 - Quando si deve e quando si può... ovvero keep calm & shoot RAW [cit.].
I vantaggi del negativo digitale e della camera chiara..
Il file RAW (trad. grezzo) è la registrazione di tutto quello che è stato recepito dal sensore prima di passare attraverso i filtri della fotocamera. Cose come bilanciamento del bianco, tono colore, ottimizzazione delle luci, riduzione del rumore, contrasto, nitidezza, saturazione, spazio colore, etc, etc...
Giustamente avete acquistato una fotocamera di ultima generazione, pagandola anche parecchi soldini e il minimo che pretendete da lei è che faccia delle foto strepitose, pronte subito e adatte per qualsiasi utilizzo.
E così è, in più di dieci anni di fotografia digitale sensori e processori di immagine hanno fatto passi avanti incredibili e sono in grado di regalare immagini di altissima qualità che spesso non hanno davvero bisogno di nulla... perché passare ore davanti al computer a fare cose che la macchina fa già molto bene da sola?
Vi invito però a riflettere su un po’ di cosette...
Primo: l’algoritmo che processa il file RAW attraverso tutte le regolazione necessarie, dalle luci alla riduzione del rumore, ai colori, alla compressione del file JPEG è iterativo, ovvero deve ripetere la stessa operazione più e più volte per raggiungere il risultato previsto. La potenza e la precisione del calcolo valutativo di un elaboratore “grande” sarà per forza di cose superiore a quella di qualsiasi processore che sta dentro la fotocamera, per il semplice motivo che ha tutto il tempo che vuole a disposizione e non deve restituirvi un’immagine immediata come la macchina.
Secondo: le possibilità di regolazione, in fase di sviluppo, di “camera chiara”, sono infinitamente superiori a quanto può fare la fotocamera, anche solo per una questione di grandezza dello schermo di visualizzazione e di livelli di intervento. Vi faccio un esempio, sulla mia 5D posso regolare la riduzione del rumore di luminanza agli alti ISO su basso standard o alto, su Camera RAW (o su qualsiasi altro software) la regolazione va solitamente da 0 a 100.
Stessa cosa vale per nitidezza, bilanciamento colore, e tutto il resto.
Terzo: il bilanciamento del bianco è un filtro come tutti gli altri, se avete usato il JPEG e scattato una foto blu o magenta potete intervenire fino a un certo punto, se agite sul file RAW è esattamente come aver scattato con un’impostazione di temperatura differente.
Quarto: la gamma dinamica del file RAW è più ampia dell’equivalente JPEG, ciò vi consente prima di tutto di avere un range di intervento sull’esposizione di 1 o 2 stop senza praticamente perdita di qualità, poi di fare regolazioni mirate su una parte dell’immagine senza compromettere il resto. Potete agire separatamente sulle luci o sulle ombre riuscendo a recuperare dettagli impensabili sull’immagine finalizzata.
Quinto, ultimo, e probabilmente più importante: lo sviluppo del file RAW non è fotoritocco! Provate a pensate alla camera chiara come un tempo vi relazionavate sia alla scelta della pellicola che allo sviluppo analogico, con ingranditore, acidi e ammennicoli vari. Lavorando il file RAW non facciamo altro che riproporre in digitale ciò che il professionista faceva in camera oscura, con esposizioni, maschere, bagni e così via. Ogni grande fotografo è stato o ha avuto alle spalle anche un grande stampatore, non si ottengono risultati professionali con una Kodacolor 200 comperata al chioschetto sulla spiaggia e sviluppata e stampata dal tabacchino! Lo sviluppo digitale vi consente prima di tutto un controllo estremamente preciso di ogni parametro, e in più, non dimenticatelo, fa sì che ognuno di noi, anche attraverso questo passaggio, possa imprimere uno stile unico e personale al suo lavoro. Fa si che l’immagine non venga solo da una qualsiasi 5D o D800 o giù di lì, ma anche da un sapiente e accurato lavoro di interpretazione dei dati a disposizione.
Le conclusioni diventano ovvie. Se avete a disposizione il tempo e la voglia di “processare” il file in un secondo momento, a casa o in studio, con calma, otterrete risultati impensabili per la fotocamera.
Unica pecca... nella precedente frase c’era un piccolo “se”... Quel “se avete tempo e voglia” diventa una fondamentale discriminate al vostro lavoro. Prendere un file RAW e non lavorarlo, ovvero fare una conversione diretta sul pc senza nessuna regolazione può restituire un’immagine peggiore della jpg fatta dalla macchina, magari senza nitidezza, con i colori impastati e poco brillante, attenti a non fare questo errore. D’altro canto se siete dei giornalisti che hanno bisogno dell’immagine pronta subito per la pubblicazione, magari non avete proprio il tempo materiale di rivedere e correggere gli scatti. In questi casi diventa fondamentale affidarsi alla propria fotocamera e imparare a conoscerla al meglio, in ogni suo dettaglio, menù e sottomenù, in modo da conoscerne le reazioni a qualsiasi regolazione possiate fare in camera per ottenere il meglio. Ovvio, ogni macchina ha storia a sé e ogni sensore ha le sue peculiarità, così come anche gli obiettivi. Molto dipende dalla sensibilità personale e dagli scopi che vogliamo raggiungere.
Per concludere questo paragrafo torno al titolo...
quando potete, quando avete a disposizione tempo e possibilità, il file RAW vi regala più di un asso nella manica, da poter giocare con calma e riflessività anche tutte le volte che volete.
Se invece dovete consegnare lo scatto subito o non volete saperne di sviluppo e post-produzione vi consiglio un’approfondita lettura del manuale della fotocamera e, soprattutto, tante prove sul campo. Alla fine la legge dei grandi numeri è ancora valida!
9 - L’importanza del segno.
Ovvero il bianco e nero e la fotografia digitale, quando? E soprattutto... Perché?
Premetto che ciò che scriverò in questo paragrafo, a parte alcune considerazioni finali prettamente tecniche, è la mia opinione assolutamente personale, per cui prendetela come tale.
Con l’avvento del digitale ho notato un significativo aumento delle produzioni in bianco e nero, anche da parte di professionisti di alto livello. In particolar modo nella fotografia di spettacolo. Il bianco e nero ha un fascino unico e incredibile che è rimasto immutato, se non addirittura accresciuto, anche dopo l’avvento della fotografia a colori. È evocativo, etereo, lascia alla mente spazi per immaginare e sognare, è in grado di creare un flusso di simbolismo comunicativo anche più complesso di una composizione a colori. Molto spesso, ai nostri occhi, una fotografia in bianco e nero è semplicemente “più bella” di una fotografia a colori.
Il colore però è importante. Ha un significato preciso e concreto sia a livello di composizione che di simbolismo. I colori evocano sensazioni e provocano reazioni.
Il giallo è il colore della luce, racconta pienezza e suscita leggerezza ed espansione. L’azzurro è un colore introspettivo e interiorizzante, aiuta la meditazione e la concentrazione. il verde è il colore della natura, evoca speranza e freschezza, ma può anche essere associato alla paura e all’angoscia (avete presente il detto “verde di terrore”?). Il rosso è un colore aggressivo, rappresenta il sangue e la passione, la collera e il fuoco. L’arancio è un colore energetico, spesso è sinonimo di successo e gloria. Il viola è un colore oscillante e quasi irreale (è composto dai due estremi dello spettro), esprime maestà e fasto, evoca potere e suscita timore... Non voglio fare un trattato di semiologia sul colore e sulla sua percezione, ma è immediato capire che l’argomento è abbastanza importante, in particolar modo nella comunicazione visiva.
Una fotografia, in quanto mezzo di comunicazione, è fatta di tanti particolari messi assieme, colore, forma, segno, posizione, soggetto, sfondo, prospettiva etc., fanno di una composizione il nostro racconto della realtà.
Nel momento in cui decidiamo di rinunciare al colore e al suo significato ci proponiamo un’interpretazione del segno e della luce che non deve aver bisogno di ulteriori informazioni. Oppure, se preferite, scegliamo di dare più importanza alle linee, alle forme, ai contrasti, alle luci e alle ombre che non al colore e alla sua simbologia.
È una scelta. E come tale credo che dovrebbe essere consapevole e ragionata.
Troppo spesso sento dire (e purtroppo vedo fare) “Mmh... non è venuta benissimo, proviamo a portarla in bianco e nero”.
Credo che questo sia un modo perfetto per riuscire a fare una foto con poco senso.
Vi porto due esempi in ambito musicale (o quasi) che è molto facile visualizzare nella mente anche senza averli davanti agli occhi.
Il primo: avete presente la foto fatta da Joel Brodsky a Jim Morrison con lui giovanissimo, a petto nudo, collanina al collo e braccia aperte, immagine del singolo The unknown soldier? È diventata un’icona degli anni ‘60 e ancora oggi è stampata sulle t-shirt di tutto il mondo. Quell’immagine (in bianco e nero) non ha assolutamente bisogno di niente in più della figura di Morrison e della sua espressività.
Il colore non darebbe all’osservatore nessuna informazione in più di quella che già ha.
Il secondo: alla fine degli anni ‘80 (se non ricordo male) Fabrizio de André chiudeva i suoi concerti con la canzone La guerra di Piero. Sulle ultime note e sulle parole finali “ma sono mille papaveri rossi” le luci di accento del retropalco si accendevano di rosso, si alzavano e illuminavano completamente la platea, proprio come se gli spettatori divenissero quel simbolico campo di papaveri rossi.
Chiedetevi: «Avrei scattato quella foto in bianco e nero o a colori?».
A questo punto parliamo un po’ di tecnica... Il sensore registra i colori, non le tonalità di grigio. Tonalità, saturazione e luminanza di ogni singolo pixel dell’immagine in riferimento ai valori RGB (CMY per pochi). La risultante è ovviamente un’immagine a colori, se impostate la macchina in bianco e nero avrete solo uno sviluppo, direttamente in camera, che converte il colore in scala di grigi per valori numerici costanti o desatura completamente tutto (vedere questo articolo).
La conversione digitale da colori a bianco e nero è un processo delicato che può essere eseguito in molti modi e con diverse tecniche. Se fatto con cognizione di causa può regalare risultati eccezionali. Il consiglio che do è quello di scattare sempre a colori ed eseguire la conversione in post produzione, del RAW quando possibile. In questo modo preserverete tutte le tonalità dell’immagine che vi consentiranno una riproduzione in bianco e nero con la massima accuratezza e precisione. Evitate di desaturare semplicemente o convertire in scala di grigio, qualsiasi software vi consente di miscelare i colori, vuoi per dominanti, vuoi per addizione e sottrazione, in modo da agire accuratamente sulle diverse parti dell’immagine. Esistono poi metodi ancora più avanzati (come miscelare i canali RGB con diverse fusioni) e software specifici che sono addirittura in grado di ricreare la grana e la densità della più famose pellicole in bianco e nero.
Un consiglio che dò spesso ai miei studenti quando parliamo di bianco e nero è di provare a scattare in RAW con la macchina impostata su monocromatico, il file sarà ovviamente a colori ma l’anteprima sul display sarà in bianco e nero. Questo consente di valutare subito l’impatto e la funzionalità della composizione a livello di forme, spazi, luci e ombre, e consente di eseguire la conversione in un secondo momento con tutte le attenzioni del caso, possibili solo in sviluppo.
10 - Impariamo ad andare a tempo!
il senso del ritmo in fotografia..
Spesso vedo concerti affollati di fotografi. Spesso tali fotografi (o presunti tali, perdonatemi il cinismo) perdono metà spettacolo a litigare tra di loro per accaparrarsi il posto che credono migliore e che sta utilizzando il loro collega, e un buon quarto a discutere con l’organizzazione per entrare negli spazi transennati e vietati all’accesso (come se solo da li potessero fare la foto della vita). Il resto del tempo sembra che lo passino a provare dodici ottiche e trentasei tecniche diverse. Mi chiedo... Ma il concerto lo vedono? Lo ascoltano? Lo vivono? E soprattutto... Ma qualche foto la fanno?
Se non ascoltate il concerto fotografate solo una piazza con un palco.
Se non osservate l’artista non lo potete ritrarre.
Se vi perdete in calcoli, funzioni della macchina, soluzioni particolari e consigli di ogni amico esperto presente invece di un reportage farete solo un libretto di istruzioni.
Senza avere niente da raccontare non si racconta proprio niente. E per avere qualcosa da dire bisogna vivere. Provare emozioni. Senza quelle farete solamente scatti sterili e fini a se stessi. Magari ben eseguiti ma senza vita.
Che sensazioni potranno mai dare? Cosa potranno raccontare?
Provo a darvi qualche piccolo consiglio, prendeteli come uno scambio di idee tra persone che stanno provando a fare la stessa cosa. Alla fine si tratta di filosofie assolutamente personali..
Arrivate sul posto, guardatevi intorno.
Guardate la piazza, le luci, la gente.
Osservate il palco, gli strumenti che ci sono, i colori, le forme, i legni diversi e le finiture degli strumenti, la posizione dei musicisti.
A questo punto sedetevi e cominciate ad ascoltare la musica, iniziate a vivere il concerto, fatevi regalare dagli artisti la loro essenza e la loro capacità di interpretare quel momento e quel luogo.
Poi prendete la fotocamera e cominciate a guardare le luci e i movimenti, sempre immersi in ciò che state vivendo.
Usate la vostra macchina come loro usano gli strumenti. Loro vi offrono arte. Voi dovete acquisirla, farla vostra, interpretarla e stenderla sulla tela della pellicola.
Vi renderete conto che è più semplice farlo che leggerlo o scriverlo, dovete solo vivere il momento a cui state partecipando.
Un ultimo consiglio, forse il più banale o forse il più prezioso...
Scattate a tempo.
Ascoltate il ritmo, sentitelo e seguitelo.
Fate click sul colpo della cassa o del rullante, sull’acuto della voce o sul battere della chitarra.
Provate ad ascoltare il basso o le percussioni.
Seguire il tempo vi farà cogliere il momento, il gesto, l’espressione, l’essenza dell’esecuzione.
Senza rendervene conto, mentre lavorate, resterete immersi nella musica... La musica farà il resto.
© www.fotobiettivo.it / gabriele bientinesi
<< Fotografare ai concerti – parte 2
Sulla fotografia ai live, si può leggere anche questo articolo >
martedì 16 giugno 2015
Fotografare ai concerti live, una fotografia fatta di tecnica e cuore – parte 2
Presentiamo ai lettori di Fotobiettivo una serie di articoli dedicati alla fotografia di concerti. Gabriele Bientinesi, responsabile per la comunicazione e la fotografia al Festival Musicastrada e fondatore della scuola Fotografando, accomunando la sua passione tanto per la musica che per la fotografia, ci apre al mondo della fotografia live con un taglio didatticamente rigoroso e al contempo coinvolgente…
…continua da : Fotografare ai concerti – parte 1
4 - Una finestra sul mondo.
Il sensore d’immagine, c’è poco da fare, è come una finestra: più grande è, più luce entra...
Ce ne rendiamo immediatamente conto quando guardiamo uno scatto fatto con una reflex o una mirrorless di ultima generazione rispetto alla stessa scena ripresa da una compatta o da uno smartphone. Finché c’è luce, quando c’è il sole, tant’è, spesso anche l’iphone fa miracoli, ma al buio...
Al buio è un’altra storia, c’è poco da fare. La differenza di dimensione del sensore si fa vedere, e tanto. La capacità di intrappolare la luce in ogni dettaglio diventa incredibilmente superiore e regala risultati eccezionali anche in condizioni davvero difficili.
Sulla differenza che c’è invece tra un sensore Full-Frame e un DX (o APS-C), magari vale la pena di spendere qualche parola.
Se dicessi che il sensore FF non è superiore sarei bugiardo. D’altronde se dicessi che il formato DX ha solo svantaggi sarei bugiardo allo stesso modo.
Ogni sistema ottico ha i suoi pro e i suoi contro. Al buio la differenza si vede, inutile negarlo, con il FF si lavora meglio, già a 1600 ISO la differenza è notevole. Il rumore è minore e più gestibile, i dettagli e la definizione sono superiori, la gamma dinamica più ampia. A sensibilità superiori lo scarto diventa ancora più netto.
Ma siamo sicuri di avere veramente sempre bisogno di sensibilità così elevate e di tanta definizione da poter stampare un’intera parete? Secondo me no.
Si possono ottenere risultati eccellenti e professionali anche con un sensore DX, a patto di essere consapevoli delle sue possibilità e dei suoi limiti. Senza contare naturalmente l’aspetto economico, che da solo basta e avanza come discriminante per tanti...
Il FF è superiore sotto tutti i punti di vista. È più preciso, più definito, e restituisce una gamma dinamica più ampia. Il DX è meno definito e più sporco, ma più economico e più gestibile, e spesso offre prestazioni più elevate in termini di velocità di scatto e di reazione. In termini di acutanza potremmo assimilare il formato DX alla vecchia pellicola 35mm, il FF al medio formato 6x4,5 o 6x6.
Il cosiddetto “fattore di moltiplicazione della focale” (1,5x su Nikon, Sony, Pentax e Fuji; 1,58x su Canon; 2x su Olympus e Panasonic) ha invece pro e contro allo stesso tempo. Allo stesso modo in cui ha bisogno di focali più corte per inquadrature grandangolari, così aiuta non poco a focali elevate, consentendo di risparmiare in termini di costo e di peso quando si necessita di lunghi teleobiettivi.
Per fotografare un concerto avremo sicuramente bisogno di utilizzare alte velocità ISO, e dettaglio e nitidezza non sono mai troppi... credo però di potervi garantire personalmente che otterrete risultati migliori con un sapiente uso di un sensore DX e una buona ottica, che con un Full Frame usato approssimativamente abbinato magari a un obiettivo non proprio eccezionale.
Giusto per parlare di prestazioni... a lezione, a un corso di livello avanzato, mi trovai in mezzo a un’accorata discussione sul se e sul quanto una fotocamera fosse migliore dell’altra. Misi sul lettino da still-life il mio orologio da polso e feci ritrarre ai due “contendenti” lo stesso soggetto, con la stessa inquadratura e con lo stesso obiettivo. Canon 5D Mark II contro Canon 7D, due signore di alta classe, una FF l’altra APS-C. 24-70/2,8L, 200 ISO, cavalletto e luce continua per entrambe.
Risultato: praticamente impossibile distinguere gli scatti...
Morale (sempre quella):
la macchina aiuta, sicuramente...
Qualcosa può fare l’ottica...
La foto la fa il fotografo.
5 - Ottiche, ottiche delle mie brame...
Chi sono le migliori del reame?... Facile... Non ci sono!
O meglio, l’ottica migliore, la più adatta, è quella che vi consente di fare nel miglior modo possibile ciò che vi eravate prefissati o che avevate immaginato. Quella con cui vi trovate meglio, magari quel peletto più leggera o più pesante a gusto vostro. In poche parole quella o quelle che vi piacciono di più. Non c’è un “canone professionale” preciso e prefissato che dovete rispettare altrimenti non va bene, non state facendo un beauty o una riproduzione fedele in still-life, tutto dipende da dove siete, da quanto lontani siete, da quanto tempo avete, da quanta luce c’è a disposizione e, soprattutto, da cosa volete fare.
Ah, una piccola parentesi, io sono abituato a ragionare in 35mm, per cui se lavorate in DX o APS-C considerate il fattore di moltiplicazione.
Dunque dicevamo... se siete accreditati come giornalisti o fotografi a un concerto relativamente grande avrete pochi minuti per scattare da sotto il palco, per cui il consiglio è semplice: un paio di macchine al collo con roba tipo 24-70 e 70-200 montati (ovvio se ne avete una sola tenete il secondo obiettivo a portata di cambio) e vedete quello che vi è possibile fare.
Se invece state lontani avrete bisogno di ottiche più lunghe, se siete ufficiali e potete magari salire anche sul palco vi serviranno magari anche grandangolari un pelo più spinti (tipo 20/24) per rendere la sensazione di “profondità” ed entrare nella scena. Se siete davanti al palco e volete essere precisi e accademici riconducetevi alla fotografia di figura: sopra i 70mm e giustezza nella profondità di campo. Se volete scatti ai volti o alle mani dei musicisti o magari particolari dello strumento o dell’esecuzione allora un tele medio alto (200/300 mm) sarà più utile.
Ovvio che più la vostra ottica è luminosa meno dovrete ricorrere ad alti ISO, sicuramente questa diventa una discriminante forte nella scelta di lavorare con un 2,8 invece che con un 5,6 o 6,3, senza contare che quasi sempre una maggiore apertura relativa è sinonimo di una più alta qualità ottica. Tenete sempre a mente che ogni ottica ha, fra virgolette, un tempo di otturazione minimo utilizzabile con tranquillità, indipendentemente da qual è la velocità di movimento del soggetto. Se state scattando a 200mm sarà dura scendere sotto 1/200sec., magari uno o due terzi di stop meno se siete stabilizzati. In ogni caso per usare tempi tipo 1/60, che di per se basterebbero a inchiodare magari il movimento del soggetto ma sono poco compatibili con l’angolo di oscillazione della focale, avrete bisogno di un cavalletto. Scattare dal treppiede vi permette tecniche di scatto creative, anche di movimento (avete presente Ernst Haas?) difficili da eseguire senza (e ricordatevi di spegnere lo stabilizzatore, io lo dimentico sempre!).
Se siete scolastici fino in fondo e usate ottiche fisse, io non rinuncerei a un buon grandangolo e almeno a un medio tele. Scelte che vi fanno camminare di più ma spesso aiutano a trovare la giusta inquadratura, proprio perché vi costringono a guardare bene il soggetto prima dello scatto, senza contare che garantiscono quasi sempre una qualità ottica e una luminosità superiori agli zoom.
In definitiva ogni obiettivo ha caratteristiche intrinseche, per progettazione e costruzione che lo rendono diverso da ogni altro. A parere mio la scelta migliore resta sempre la stessa: usate quello con cui vi trovate meglio...
6 - Al sole o a lume di candela?
Ma il flash? Serve davvero? Aiuta? O magari può anche peggiorare le cose?
«Pensiamo all’interno di una stanza, di un rifugio, di una tenda. Pensiamo al senso di intimità che solo la luce disponibile è in grado di suggerire. Pensiamo alla luce cruda e piatta del flash, agli occhi rossi, agli sguardi spiritati, agli oggetti della stanza impietosamente illuminati come se improvvisamente un gigante dispettoso avesse scoperchiato il tetto.
E chiediamoci: l’immagine che voglio comporre ha davvero bisogno di tutta quella luce?» [cit. Michele Vacchiano “Il sole portatile” 2001]
Non è specifico sugli argomenti trattati qua ma credo che renda molto bene l’idea...
C’è da dire che in casi come il nostro, nella fotografia di spettacolo, il lampeggiatore è anche estremamente fastidioso, sia per l’artista, sia per il pubblico (in teatro, per esempio potreste anche venir buttati fuori!). Il flash, paradossalmente, al buio serve a poco, le cose che servono davvero sono ottiche veloci e un cavalletto.
Soprattutto il flash della vostra macchina e soprattutto se non siete abbastanza vicini. Fate un conto rapido: un piccolo flash come quello incorporato avrà una potenza si e no di NG 12, forse 14, questo vuol dire che per coprire una distanza di 6 metri a 50mm vi serve un’apertura relativa di f/2; alzate l’ISO e migliorate le cose... ma vi rendete conto subito che se dovete lavorare comunque a 800 ISO tanto vale tenerlo spento. Senza lampeggiatore alzato evitate la brutta “flashata” sulle parti chiare del soggetto, rendete meglio l’atmosfera delle luci di palco ed evitate di dar fastidio a chicchessia.
Può darsi che vediate usare il flash a qualche fotografo ufficialissimo su un grande palco che si mette accanto all’artista per fare un primo piano o un dettaglio, magari usando un deflettore o un diffusore per creare luce negli occhi, diversamente è davvero poco utile. Per cui vi direi: usatelo il meno possibile, e soprattutto evitate di dar retta alla vostra fotocamera quando vi dice di alzarlo.
7 - Bianco, rosso e...
Il miracolo del bilanciamento..
Settare il bilanciamento del bianco per la luce di spettacolo può sembrare un’impresa tanto sono variabili, molto dipende dalla bravura del tecnico e dalla capacità dell’impianto luci di offrire un “tappeto” neutro o quasi su cui poter lavorare, sfruttando i fasci di luce più colorati come luci secondarie o accenti.
Spesso però lo spazio è poco, o il concerto non si presta a troppi cambi di luce, per cui ci possiamo trovare a fare i conti con una forte dominante magari rossa o blu o di chissà quale colore.
Da un punto di vista tecnico le luci di palco sono quasi sempre faretti (par o simili) a incandescenza o fluorescenza, con una temperatura intorno ai 3500-45000 °K, con montate davanti delle gelatine per colorare la luce. Da qualche anno si cominciano a vedere anche molti fari a LED RGB, fonti di luce colorata direttamente all’origine. In entrambi i casi, se doveste ricreare il colore reale dello strumento o del dettaglio l’unica soluzione sarebbe un approccio da studio, fare il bilanciamento del bianco prima di ogni foto o attaccare un check all’artista... Direi che rasentiamo il ridicolo.
Se il tecnico o la band hanno scelto come luce principale una tonalità rossa, o blu, probabilmente avevano i loro motivi. Magari è una scelta stilistica per evocare una determinata sensazione, o forse si adattava meglio all’ambiente circostante. Oppure, banalmente, piaceva così o non c’erano gelatine di altri colori. In ogni caso, se l’artista è illuminato di blu non vedo il motivo per far sparire quel colore e riportare il tutto ai reali pigmenti. Se volete raccontare forme e contrasti rinunciando all’atmosfera del colore scattate o sviluppate in bianco e nero.
Nel 99% dei casi la vostra fotocamera si comporterà in maniera egregia con il bilanciamento del bianco impostato su automatico, se si tratta di una macchina particolarmente vecchia (che so una Nikon D100 o giù di lì) e proprio non ne vuol sapere di restituirvi un’immagine credibile, provate a farla lavorare su sole pieno, tungsteno o fluorescenza, una delle tre restituirà una foto corretta.
Un altro approccio può essere ragionato sulla tinta, ovvero sul colore della gelatina che è stata messa davanti alla fonte di illuminazione. Se la fotocamera vede una dominante preponderante sulle altre lunghezze d’onda può tendere a tagliarla per compensare e restituirci una foto priva di vividezza, “moscia” per intenderci. Per ovviare a questo potete agire sul bilanciamento colore della fotocamera o sullo “shift” del bilanciamento del bianco (dipende dai software dei costruttori). Se c’è troppo rosso e la macchina lo taglia, ditele che c’è sul serio e non sta vedendo male. Basta spostare il cursore nella direzione di quel colore in modo da esaltarlo e renderlo più vivo.
Detto tutto questo, potete sempre scattare in RAW, in modo da poter fare tutte le regolazioni e gli esperimenti del caso con calma in fase di sviluppo su ogni singolo scatto.
CONTINUA…
© www.fotobiettivo.it / gabriele bientinesi
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giovedì 11 giugno 2015
Fotografare ai concerti live, una fotografia fatta di tecnica e cuore – parte 1
Presentiamo ai lettori di Fotobiettivo una serie di articoli dedicati alla fotografia di concerti. Gabriele Bientinesi, responsabile per la comunicazione e la fotografia al Festival Musicastrada e fondatore della scuola Fotografando, accomunando la sua passione tanto per la musica che per la fotografia, ci apre al mondo della fotografia live con un taglio didatticamente rigoroso e al contempo coinvolgente…
Premessa: che cos’è Musicastrada?
Musicastrada nasce sedici anni fa, con la voglia di riunire in un unica realtà tutte quelle figure che lavorano intorno a un evento come un festival e alla musica in generale, non solo musicisti quindi, ma anche fonici, tecnici, grafici, esperti di comunicazione, fotografi, videomaker… Sedici anni fa nasce anche il MusicastradaFestival, una manifestazione itinerante che ogni anno si muove nei comuni della provincia di Pisa per portare musica autoriale di altissimo livello nelle piazze più suggestive dei comuni toscani; sono più di venti le amministrazioni che ogni anno, a turno, ospitano una tappa del Festival con il suo concerto. Negli anni Musicastrada è diventata anche un’agenzia di Booking e management e una casa discografica, che produce e propone i suoi artisti in Italia e in Europa. Nel contempo, la parte “fotografica” legata al Festival, che durante gli anni è stato documentato da importanti fotografi ed è anche diventato protagonista di un film-documentario, è cresciuta ed è diventata una scuola, Fotografando, attiva da diversi anni nella provincia di Pisa e punto di riferimento per fotografi e appassionati di tutta la Toscana.
Potete trovare ogni informazione sul calendario di Musicastrada 2015 che inizierà il 15 luglio nel sito del festival www.musicastrada.it
1 - Perché fotografare un live?
Perché fotografare un concerto? Perché impiegare tempo ed energie con la fotocamera al collo, magari grossa e pesante, a produrre scatti invece di starcene seduti a guardare lo spettacolo per il semplice piacere di farlo?
Un concerto è qualcosa di più dell’ascoltare musica... 30 anni fa c’erano i dischi in vinile e i mangianastri, poi le musicassette e i walkman attaccati alla cintura, poi i cd, oggi gli mp3 e internet. Il concerto è sempre quello di tanti anni fa. Non è unicamente musica. È un insieme di emozioni, di suoni, di colori e di luci. È uno spettacolo che va ben oltre il brano musicale e l’esecuzione. È l’artista che è davanti a te, sul palco, che ti regala una parte di sé, del suo essere, del suo mondo, della sua vita.
Questo è forse ciò che ci fa sentire vicini a chi è davanti a noi su quel palco, che ci da la spinta a voler ricordare e quindi raccontare, da fotografi, un’emozione che è sempre diversa, sempre nuova, sempre forte.
Cito Vittorio Storaro: «Io credo che ognuno di noi dia una parte della propria vita quando tenta di scrivere con la luce.» [...]
«Proprio come fa l’autore musicale con le note, lo sceneggiatore con le parole, così facciamo noi scrivendo con la luce.».
Appunto. Fotografare vuol dire scrivere con la luce.
Tradurre in bianchi, neri, grigi, colori, sfumature e forme, quel turbinio di sensazioni ed emozioni che vola sopra di noi, attraverso di noi, dentro di noi. Raccontare con un’immagine, un tempo, uno spazio e un sentimento insieme. E se ci pensi bene sembra impossibile...
I fotografi però sono persone caparbie e non si arrendono facilmente. Ritrarre un tale flusso di emozioni è forse una delle cose più difficili da fare. Eppure spesso, riescono a rendere immortale quell’attimo, quel momento, che permette di regalare a chi non c’era la grandezza di un evento che ha emozionato una piazza intera.
È la grandezza della fotografia.
E una fotografia è fatta di tecnica e di cuore...
Sulla tecnica possiamo provare a darvi una mano, senza pretese, magari raccontandovi la nostra esperienza professionale e personale.
Il cuore... dovete mettercelo voi!
2 - È buio (non ce lo scordiamo).
I concerti, a meno di occasioni particolari, si fanno di sera. Gli spettacoli di teatro, nella maggior parte dei casi sono al buio o quasi.
E buio lo è davvero, ed è alla fine quello che dobbiamo fotografare. La luce contrapposta alla non-luce.
Ovvero quella poca illuminazione che disegna sull’artista un’espressione, una smorfia o un gesto, o magari sullo strumento e sulla scenografia (naturale o artificiale che sia) un riflesso o un’ombra particolare che inevitabilmente si offrono allo spettatore come catalizzatori di attenzioni e regalano quell’emozione e quell’atmosfera particolari senza le quali lo spettacolo non sarebbe assolutamente lo stesso.
Uno degli errori che vengono fatti più di frequente è cercare di esporre, magari dando retta all’esposimetro della fotocamera, in modo da restituire una scena omogeneamente illuminata. Allo stesso modo qualche milione di blog, forum e “amici esperti” vari, ci raccontano di come esporre queste situazioni più difficili in modo da ottenere un istogramma “corretto”, ovvero senza picchi a destra e a sinistra (alte luci e ombre), altrimenti la foto è sbagliata...
Errato, un’esposizione con un istogramma “corretto” restituirebbe solo un’immagine confusa di una scena mediamente illuminata nel suo complesso, assolutamente irreale e sicuramente molto poco interessante.
L’esposizione più corretta è sulle luci, spot o media sottoesposta di un paio di stop che sia, quella è e quella dobbiamo utilizzare. E il nostro istogramma dovrà essere per forza di cose “sparato” sulle ombre, il nero davanti a noi c’è, e deve essere nella foto. È nero o quasi il cielo, il muro, la quinta, la parete, parte del palco e via discorrendo.
L’esposizione migliore di solito si ottiene con una lettura spot su un punto di alta luce riflessa presente sulla scena, nel nostro caso un piatto o un’asta della batteria, uno strumento come una chitarra con finitura verniciata lucida e di colore chiaro, un abito particolarmente “sgargiante” dell’artista... Se il palco è in legno e individuate un punto illuminato in pieno sarà un grigio 18 ideale...
In pratica ci serve qualcosa che rifletta gran parte della luce incidente, se poi senza grosse dominanti scure (rosso, blu, verde, magenta) ancora meglio. Così facendo porremo in zona 5/6 (dove dovrebbe essere il grigio medio) la luce riflessa al 50% circa, riuscendo a ottenere una gamma dinamica ottimale, in grado di restituire correttamente dal buio assoluto alla luce bruciata dei fari diretti verso l’obiettivo.
Il sensore reagirà alla luce anche in relazione ai valori tonali globali, garantendo tranquillamente una latitudine di posa di 3 - 4 stop abbondanti, di conseguenza un margine di errore abbastanza importante, paragonabile se volete a una pellicola pancromatica (con cui era buona regola, in questi casi, esporre sulle luci per sviluppare sulle ombre). Non ci dimentichiamo che le moderne fotocamere digitali che stiamo utilizzando sono estremamente performanti sotto questo punto di vista, sono in grado di coprire una gamma dinamica anche superiore a 10 stop con una latitudine di posa estremamente flessibile e adattabile.
Se ci trovassimo a dover fare la stessa cosa con un’invertibile a colori, flessibile quanto una corda di violino tirata, l’accuratezza dell’esposizione ci darebbe sicuramente più da pensare...
3 - Un tempo si chiamava ASA (o DIN).
Era la prima cosa da fare: comprare la pellicola adatta.
Oggi si chiama sensibilità o velocità ISO equivalente, ed è in pratica la quantità di “corrente elettrica” che diamo al sensore per funzionare. Più bassa è, più avremo bisogno di luce per scattare, più l’immagine restituita sarà precisa e pulita. Più alta è, meno luce sarà necessaria, ma la nostra immagine diverrà pian piano più imprecisa e “granulosa” con l’aumentare del valore.
Un po’ come succedeva in pellicola, dove più alta era la sensibilità più grossa era la grana, il sensore sviluppa, ad alte sensibilità ISO, una sorta di rumore digitale, tecnicamente chiamato “rumore di luminanza” che è visivamente abbastanza simile alla vecchia grana di una pellicola ad alta sensibilità (1600 ISO e superiori).
Cosa fare dunque? Usare altissimi ISO per avere maggiori possibilità di scatto con tempi veloci e diaframmi chiusi o cercare di ottimizzare il rapporto luce/rumore per avere un’immagine più precisa e pulita con il rischio di scattare al limite delle possibilità fisiche dell’ottica e della macchina?
La risposta giusta sta banalmente nel mezzo.
Le fotocamere più moderne sono in grado di scattare a sensibilità pazzesche senza problemi di rumore, quelle un po’ più datate si difendono comunque bene fino a 800/1600 ISO, e vi garantisco che in pellicola era veramente raro andare sopra questi valori, si ricorreva ai 3200/6400 ISO solo in condizioni veramente terribili... e le foto chissà come mai venivano fuori lo stesso.
Ricordo una collega che una volta, parlando con un’allieva, pronunciò una frase che mi fece subito riflettere. In luce crepuscolare, alla domanda «Che ISO devo usare?», rispose in modo estremamente semplice: «Usa l’ISO come un Jolly» disse, «Se serve un tempo troppo lungo per usare il diaframma di cui hai bisogno alza l’ISO». Trovai questa risposta assolutamente geniale: non solo interpreta perfettamente il senso della velocità ISO, ma slega anche da tutti i preconcetti e le abitudini che i fotografi di vecchia generazione, come me, hanno magari verso un certo tipo di pellicola e di attrezzatura.
Io che ero solito, per questo tipo di scatti, usare Ektachrome o Superia, spesso ragiono direttamente a 1600 ISO, a prescindere da quello che sto realmente guardando, e che forse sarebbe meglio interpretato con altre soluzioni.
In conclusione: usate la sensibilità necessaria.
Partite da valori intermedi e verificate sul campo, cominciate ad alzare l’ISO quando vi rendete conto che la luce è troppo poca... Alla fine state scattando in digitale, una rapida occhiata allo schermo lcd fugherà ogni dubbio.
Se state scattando a 200mm con apertura relativa 5,6 e non riuscite a scendere al necessario 1/200 di secondo e proprio non ne volete sapere di portarvi dietro un cavalletto o siete fotografi “a mano libera”... semplicemente alzate l’ISO!
© www.fotobiettivo.it / gabriele bientinesi
Fotografare ai concerti live - PARTE 2 >>
Sulla fotografia ai live, si può leggere anche questo articolo >
lunedì 18 maggio 2015
Storie #1/5 - Ho incontrato Gutenberg Tipografia storica a Città di Castello
sabato 1 marzo 2014
Calcio Storico Fiorentino una tradizione di oltre cinque secoli
di Luca Vangelista
Apparso attorno alla fine del Quattrocento, le partite di Calcio Storico si svolgevano solitamente nel periodo del Carnevale, e venivano giocate da due squadre, presumibilmente con un pallone ripieno di stracci o di pelle su terreni sabbiosi, il cui solo obiettivo era quello di portare la palla oltre il campo dell’avversario con qualsiasi mezzo.
Il fenomeno si diffuse rapidamente tra i giovani fiorentini, al punto che questi lo praticavano frequentemente in ogni strada o piazza della città; era talmente popolare che nel gennaio del 1490, trovandosi l’Arno completamente ghiacciato, su di esso venne delimitato un campo e giocate alcune partite.
Con il passare del tempo, però, soprattutto per problemi di ordine pubblico, si andò verso una maggiore organizzazione, ed il calcio cominciò ad essere praticato soprattutto nelle piazze più importanti della città, portando i fiorentini a cimentarsi in vere e proprie sfide. Le squadre vantavano nelle loro compagini nomi altisonanti di nobili, illustri personaggi della vita pubblica cittadina e delle casate più importanti di Firenze (ad esempio, i Medici), che vestivano le sfarzose uniformi dell'epoca, le quali diedero poi il nome a questo sport.
Sono molte le partite passate alla storia, vuoi per il contesto in cui sono state giocate, vuoi per i fatti avvenuti durante il loro svolgimento e riportati dalle cronache del tempo, oppure soltanto per le personalità illustri che vi presero parte. Ma "la partita" per eccellenza, a cui si ispirano le sfide di oggi, è quella che venne giocata in piazza di Santa Croce a Firenze il 17 febbraio 1530 durante l'assedio della città; in quell’occasione, infatti, venne lanciata una delle più grandi sfide dalla Repubblica fiorentina all’imperatore Carlo V, quando la popolazione assediata da molti mesi dalle truppe imperiali, diede sfoggio di coraggio e indifferenza mettendosi a giocare al Calcio Storico in piazza Santa Croce, dando l’impressione di non considerare l’esercito dell’Impero degno di attenzione. La popolarità di questo gioco durò per tutto il Seicento, ma nel secolo successivo cominciò un lento declino che lo portò di lì a poco alla scomparsa, almeno come evento organizzato.
La partita che diede il via alla rinascita del gioco nel XX secolo si giocò nel maggio del 1930 quando, per la ricorrenza del quattrocentenario dall'Assedio di Firenze, su iniziativa del gerarca fascista Alessandro Pavolini, venne organizzato il primo torneo tra i quartieri della città; da allora, salvo che per il periodo bellico, ogni anno, solitamente nel mese di giugno, si sono svolte puntualmente fra le secolari mura cittadine le sfide fra i calcianti dei quattro quartieri storici di Firenze: i "Bianchi" di Santo Spirito, gli "Azzurri" di Santa Croce, i "Rossi" di Santa Maria Novella e i "Verdi" di San Giovanni. Il calcio in costume è sempre stato caratterizzato da un forte agonismo, che talvolta sconfina in violente risse al di là di ogni regolamento; questa caratteristica non è scomparsa col tempo: l'11 giugno 2006, il primo incontro del torneo 2006, tra la squadra dei Bianchi (del quartiere di Santo Spirito) e quella degli Azzurri (di Santa Croce) è stato sospeso subito dopo l'inizio a causa dei pestaggi che avevano trasformato la partita in una vera e propria rissa. La gravità del fatto ha costretto la giunta comunale ad annullare l'intero torneo 2006, e l’anno successivo il torneo è stato annullato per l’assenza di sufficienti garanzie di sicurezza.
Nel 2008 la manifestazione sportiva è stata reintrodotta con delle modifiche delle regole di gioco per garantire un regolare svolgimento ed evitare risse incontrollate: i calcianti ora devono avere meno di 40 anni e non devono aver riportato condanne penali gravi. La finale viene disputata in occasione degli annuali festeggiamenti di San Giovanni, patrono della città, preceduta da un corteo nel centro di Firenze (composto per l’occasione da 530 figuranti, vestiti di rigorosi costumi militari di epoca rinascimentale, rievocando le gesta e le Armi della Repubblica, quando Firenze era governata dal popolo), ed il premio in palio è una vitella bianca di razza Chianina. Possiamo affermare con certezza che oggi il Calcio Storico Fiorentino è una vera e propria tradizione, molto radicata nel tessuto sociale cittadino, basta osservare le immagini per percepire negli occhi di ogni fiorentino come la difesa e la rappresentanza del proprio quartiere sia vissuta con assoluta partecipazione ed estremo senso di appartenenza.
© 2015 Luca Vangelista – www.fotobiettivo.it