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giovedì 18 giugno 2015

Fotografare ai concerti live, una fotografia fatta di tecnica e cuore – parte 3

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di Gabriele Bientinesi

Presentiamo ai lettori di Fotobiettivo una serie di articoli dedicati alla fotografia di concerti. Gabriele Bientinesi, responsabile per la comunicazione e la fotografia al Festival Musicastrada e fondatore della scuola Fotografando, accomunando la sua passione tanto per la musica che per la fotografia, ci apre al mondo della fotografia live con un taglio didatticamente rigoroso e al contempo coinvolgente…

…continua da : Fotografare ai concerti  – parte 1

…continua da : Fotografare ai concerti  – parte 2

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8 - Quando si deve e quando si può... ovvero keep calm & shoot RAW [cit.].

I vantaggi del negativo digitale e della camera chiara..

Il file RAW (trad. grezzo) è la registrazione di tutto quello che è stato recepito dal sensore prima di passare attraverso i filtri della fotocamera. Cose come bilanciamento del bianco, tono colore, ottimizzazione delle luci, riduzione del rumore, contrasto, nitidezza, saturazione, spazio colore, etc, etc...

Giustamente avete acquistato una fotocamera di ultima generazione, pagandola anche parecchi soldini e il minimo che pretendete da lei è che faccia delle foto strepitose, pronte subito e adatte per qualsiasi utilizzo.

E così è, in più di dieci anni di fotografia digitale sensori e processori di immagine hanno fatto passi avanti incredibili e sono in grado di regalare immagini di altissima qualità che spesso non hanno davvero bisogno di nulla... perché passare ore davanti al computer a fare cose che la macchina fa già molto bene da sola?

Vi invito però a riflettere su un po’ di cosette...

Primo: l’algoritmo che processa il file RAW attraverso tutte le regolazione necessarie, dalle luci alla riduzione del rumore, ai colori, alla compressione del file JPEG è iterativo, ovvero deve ripetere la stessa operazione più e più volte per raggiungere il risultato previsto. La potenza e la precisione del calcolo valutativo di un elaboratore “grande” sarà per forza di cose superiore a quella di qualsiasi processore che sta dentro la fotocamera, per il semplice motivo che ha tutto il tempo che vuole a disposizione e non deve restituirvi un’immagine immediata come la macchina.

Secondo: le possibilità di regolazione, in fase di sviluppo, di “camera chiara”, sono infinitamente superiori a quanto può fare la fotocamera, anche solo per una questione di grandezza dello schermo di visualizzazione e di livelli di intervento. Vi faccio un esempio, sulla mia 5D posso regolare la riduzione del rumore di luminanza agli alti ISO su basso standard o alto, su Camera RAW (o su qualsiasi altro software) la regolazione va solitamente da 0 a 100.

Stessa cosa vale per nitidezza, bilanciamento colore, e tutto il resto.

Terzo: il bilanciamento del bianco è un filtro come tutti gli altri, se avete usato il JPEG e scattato una foto blu o magenta potete intervenire fino a un certo punto, se agite sul file RAW è esattamente come aver scattato con un’impostazione di temperatura differente.

Quarto: la gamma dinamica del file RAW è più ampia dell’equivalente JPEG, ciò vi consente prima di tutto di avere un range di intervento sull’esposizione di 1 o 2 stop senza praticamente perdita di qualità, poi di fare regolazioni mirate su una parte dell’immagine senza compromettere il resto. Potete agire separatamente sulle luci o sulle ombre riuscendo a recuperare dettagli impensabili sull’immagine finalizzata.

Quinto, ultimo, e probabilmente più importante: lo sviluppo del file RAW non è fotoritocco! Provate a pensate alla camera chiara come un tempo vi relazionavate sia alla scelta della pellicola che allo sviluppo analogico, con ingranditore, acidi e ammennicoli vari. Lavorando il file RAW non facciamo altro che riproporre in digitale ciò che il professionista faceva in camera oscura, con esposizioni, maschere, bagni e così via. Ogni grande fotografo è stato o ha avuto alle spalle anche un grande stampatore, non si ottengono risultati professionali con una Kodacolor 200 comperata al chioschetto sulla spiaggia e sviluppata e stampata dal tabacchino! Lo sviluppo digitale vi consente prima di tutto un controllo estremamente preciso di ogni parametro, e in più, non dimenticatelo, fa sì che ognuno di noi, anche attraverso questo passaggio, possa imprimere uno stile unico e personale al suo lavoro. Fa si che l’immagine non venga solo da una qualsiasi 5D o D800 o giù di lì, ma anche da un sapiente e accurato lavoro di interpretazione dei dati a disposizione.

Le conclusioni diventano ovvie. Se avete a disposizione il tempo e la voglia di “processare” il file in un secondo momento, a casa o in studio, con calma, otterrete risultati impensabili per la fotocamera.

Unica pecca... nella precedente frase c’era un piccolo “se”... Quel “se avete tempo e voglia” diventa una fondamentale discriminate al vostro lavoro. Prendere un file RAW e non lavorarlo, ovvero fare una conversione diretta sul pc senza nessuna regolazione può restituire un’immagine peggiore della jpg fatta dalla macchina, magari senza nitidezza, con i colori impastati e poco brillante, attenti a non fare questo errore. D’altro canto se siete dei giornalisti che hanno bisogno dell’immagine pronta subito per la pubblicazione, magari non avete proprio il tempo materiale di rivedere e correggere gli scatti. In questi casi diventa fondamentale affidarsi alla propria fotocamera e imparare a conoscerla al meglio, in ogni suo dettaglio, menù e sottomenù, in modo da conoscerne le reazioni a qualsiasi regolazione possiate fare in camera per ottenere il meglio. Ovvio, ogni macchina ha storia a sé e ogni sensore ha le sue peculiarità, così come anche gli obiettivi. Molto dipende dalla sensibilità personale e dagli scopi che vogliamo raggiungere.

Per concludere questo paragrafo torno al titolo...

quando potete, quando avete a disposizione tempo e possibilità, il file RAW vi regala più di un asso nella manica, da poter giocare con calma e riflessività anche tutte le volte che volete.

Se invece dovete consegnare lo scatto subito o non volete saperne di sviluppo e post-produzione vi consiglio un’approfondita lettura del manuale della fotocamera e, soprattutto, tante prove sul campo. Alla fine la legge dei grandi numeri è ancora valida!

9 - L’importanza del segno.

Ovvero il bianco e nero e la fotografia digitale, quando? E soprattutto... Perché?

Premetto che ciò che scriverò in questo paragrafo, a parte alcune considerazioni finali prettamente tecniche, è la mia opinione assolutamente personale, per cui prendetela come tale.

Con l’avvento del digitale ho notato un significativo aumento delle produzioni in bianco e nero, anche da parte di professionisti di alto livello. In particolar modo nella fotografia di spettacolo. Il bianco e nero ha un fascino unico e incredibile che è rimasto immutato, se non addirittura accresciuto, anche dopo l’avvento della fotografia a colori. È evocativo, etereo, lascia alla mente spazi per immaginare e sognare, è in grado di creare un flusso di simbolismo comunicativo anche più complesso di una composizione a colori. Molto spesso, ai nostri occhi, una fotografia in bianco e nero è semplicemente “più bella” di una fotografia a colori.

Il colore però è importante. Ha un significato preciso e concreto sia a livello di composizione che di simbolismo. I colori evocano sensazioni e provocano reazioni.

Il giallo è il colore della luce, racconta pienezza e suscita leggerezza ed espansione. L’azzurro è un colore introspettivo e interiorizzante, aiuta la meditazione e la concentrazione. il verde è il colore della natura, evoca speranza e freschezza, ma può anche essere associato alla paura e all’angoscia (avete presente il detto “verde di terrore”?). Il rosso è un colore aggressivo, rappresenta il sangue e la passione, la collera e il fuoco. L’arancio è un colore energetico, spesso è sinonimo di successo e gloria. Il viola è un colore oscillante e quasi irreale (è composto dai due estremi dello spettro), esprime maestà e fasto, evoca potere e suscita timore... Non voglio fare un trattato di semiologia sul colore e sulla sua percezione, ma è immediato capire che l’argomento è abbastanza importante, in particolar modo nella comunicazione visiva.

Una fotografia, in quanto mezzo di comunicazione, è fatta di tanti particolari messi assieme, colore, forma, segno, posizione, soggetto, sfondo, prospettiva etc., fanno di una composizione il nostro racconto della realtà.

Nel momento in cui decidiamo di rinunciare al colore e al suo significato ci proponiamo un’interpretazione del segno e della luce che non deve aver bisogno di ulteriori informazioni. Oppure, se preferite, scegliamo di dare più importanza alle linee, alle forme, ai contrasti, alle luci e alle ombre che non al colore e alla sua simbologia.

È una scelta. E come tale credo che dovrebbe essere consapevole e ragionata.

Troppo spesso sento dire (e purtroppo vedo fare) “Mmh... non è venuta benissimo, proviamo a portarla in bianco e nero”.

Credo che questo sia un modo perfetto per riuscire a fare una foto con poco senso.

Vi porto due esempi in ambito musicale (o quasi) che è molto facile visualizzare nella mente anche senza averli davanti agli occhi.

Il primo: avete presente la foto fatta da Joel Brodsky a Jim Morrison con lui giovanissimo, a petto nudo, collanina al collo e braccia aperte, immagine del singolo The unknown soldier? È diventata un’icona degli anni ‘60 e ancora oggi è stampata sulle t-shirt di tutto il mondo. Quell’immagine (in bianco e nero) non ha assolutamente bisogno di niente in più della figura di Morrison e della sua espressività.

Il colore non darebbe all’osservatore nessuna informazione in più di quella che già ha.

Il secondo: alla fine degli anni ‘80 (se non ricordo male) Fabrizio de André chiudeva i suoi concerti con la canzone La guerra di Piero. Sulle ultime note e sulle parole finali “ma sono mille papaveri rossi” le luci di accento del retropalco si accendevano di rosso, si alzavano e illuminavano completamente la platea, proprio come se gli spettatori divenissero quel simbolico campo di papaveri rossi.

Chiedetevi: «Avrei scattato quella foto in bianco e nero o a colori?».

A questo punto parliamo un po’ di tecnica... Il sensore registra i colori, non le tonalità di grigio. Tonalità, saturazione e luminanza di ogni singolo pixel dell’immagine in riferimento ai valori RGB (CMY per pochi). La risultante è ovviamente un’immagine a colori, se impostate la macchina in bianco e nero avrete solo uno sviluppo, direttamente in camera, che converte il colore in scala di grigi per valori numerici costanti o desatura completamente tutto (vedere questo articolo).

La conversione digitale da colori a bianco e nero è un processo delicato che può essere eseguito in molti modi e con diverse tecniche. Se fatto con cognizione di causa può regalare risultati eccezionali. Il consiglio che do è quello di scattare sempre a colori ed eseguire la conversione in post produzione, del RAW quando possibile. In questo modo preserverete tutte le tonalità dell’immagine che vi consentiranno una riproduzione in bianco e nero con la massima accuratezza e precisione. Evitate di desaturare semplicemente o convertire in scala di grigio, qualsiasi software vi consente di miscelare i colori, vuoi per dominanti, vuoi per addizione e sottrazione, in modo da agire accuratamente sulle diverse parti dell’immagine. Esistono poi metodi ancora più avanzati (come miscelare i canali RGB con diverse fusioni) e software specifici che sono addirittura in grado di ricreare la grana e la densità della più famose pellicole in bianco e nero.

Un consiglio che dò spesso ai miei studenti quando parliamo di bianco e nero è di provare a scattare in RAW con la macchina impostata su monocromatico, il file sarà ovviamente a colori ma l’anteprima sul display sarà in bianco e nero. Questo consente di valutare subito l’impatto e la funzionalità della composizione a livello di forme, spazi, luci e ombre, e consente di eseguire la conversione in un secondo momento con tutte le attenzioni del caso, possibili solo in sviluppo.

10 - Impariamo ad andare a tempo!

il senso del ritmo in fotografia..

Spesso vedo concerti affollati di fotografi. Spesso tali fotografi (o presunti tali, perdonatemi il cinismo) perdono metà spettacolo a litigare tra di loro per accaparrarsi il posto che credono migliore e che sta utilizzando il loro collega, e un buon quarto a discutere con l’organizzazione per entrare negli spazi transennati e vietati all’accesso (come se solo da li potessero fare la foto della vita). Il resto del tempo sembra che lo passino a provare dodici ottiche e trentasei tecniche diverse. Mi chiedo... Ma il concerto lo vedono? Lo ascoltano? Lo vivono? E soprattutto... Ma qualche foto la fanno?

Se non ascoltate il concerto fotografate solo una piazza con un palco.
Se non osservate l’artista non lo potete ritrarre.
Se vi perdete in calcoli, funzioni della macchina, soluzioni particolari e consigli di ogni amico esperto presente invece di un reportage farete solo un libretto di istruzioni.

Senza avere niente da raccontare non si racconta proprio niente. E per avere qualcosa da dire bisogna vivere. Provare emozioni. Senza quelle farete solamente scatti sterili e fini a se stessi. Magari ben eseguiti ma senza vita.

Che sensazioni potranno mai dare? Cosa potranno raccontare?

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Provo a darvi qualche piccolo consiglio, prendeteli come uno scambio di idee tra persone che stanno provando a fare la stessa cosa. Alla fine si tratta di filosofie assolutamente personali..

Arrivate sul posto, guardatevi intorno.
Guardate la piazza, le luci, la gente.
Osservate il palco, gli strumenti che ci sono, i colori, le forme, i legni diversi e le finiture degli strumenti, la posizione dei musicisti.
A questo punto sedetevi e cominciate ad ascoltare la musica, iniziate a vivere il concerto, fatevi regalare dagli artisti la loro essenza e la loro capacità di interpretare quel momento e quel luogo.
Poi prendete la fotocamera e cominciate a guardare le luci e i movimenti, sempre immersi in ciò che state vivendo.

Usate la vostra macchina come loro usano gli strumenti. Loro vi offrono arte. Voi dovete acquisirla, farla vostra, interpretarla e stenderla sulla tela della pellicola.

Vi renderete conto che è più semplice farlo che leggerlo o scriverlo, dovete solo vivere il momento a cui state partecipando.

Un ultimo consiglio, forse il più banale o forse il più prezioso...

Scattate a tempo.
Ascoltate il ritmo, sentitelo e seguitelo.
Fate click sul colpo della cassa o del rullante, sull’acuto della voce o sul battere della chitarra.
Provate ad ascoltare il basso o le percussioni.
Seguire il tempo vi farà cogliere il momento, il gesto, l’espressione, l’essenza dell’esecuzione.

Senza rendervene conto, mentre lavorate, resterete immersi nella musica... La musica farà il resto.

© www.fotobiettivo.it / gabriele bientinesi

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Sulla fotografia ai live, si può leggere anche questo articolo >

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