giovedì 11 giugno 2015
Fotografare ai concerti live, una fotografia fatta di tecnica e cuore – parte 1
Aggiungi questo post al tuo FlipboardPresentiamo ai lettori di Fotobiettivo una serie di articoli dedicati alla fotografia di concerti. Gabriele Bientinesi, responsabile per la comunicazione e la fotografia al Festival Musicastrada e fondatore della scuola Fotografando, accomunando la sua passione tanto per la musica che per la fotografia, ci apre al mondo della fotografia live con un taglio didatticamente rigoroso e al contempo coinvolgente…
Premessa: che cos’è Musicastrada?
Musicastrada nasce sedici anni fa, con la voglia di riunire in un unica realtà tutte quelle figure che lavorano intorno a un evento come un festival e alla musica in generale, non solo musicisti quindi, ma anche fonici, tecnici, grafici, esperti di comunicazione, fotografi, videomaker… Sedici anni fa nasce anche il MusicastradaFestival, una manifestazione itinerante che ogni anno si muove nei comuni della provincia di Pisa per portare musica autoriale di altissimo livello nelle piazze più suggestive dei comuni toscani; sono più di venti le amministrazioni che ogni anno, a turno, ospitano una tappa del Festival con il suo concerto. Negli anni Musicastrada è diventata anche un’agenzia di Booking e management e una casa discografica, che produce e propone i suoi artisti in Italia e in Europa. Nel contempo, la parte “fotografica” legata al Festival, che durante gli anni è stato documentato da importanti fotografi ed è anche diventato protagonista di un film-documentario, è cresciuta ed è diventata una scuola, Fotografando, attiva da diversi anni nella provincia di Pisa e punto di riferimento per fotografi e appassionati di tutta la Toscana.
Potete trovare ogni informazione sul calendario di Musicastrada 2015 che inizierà il 15 luglio nel sito del festival www.musicastrada.it
1 - Perché fotografare un live?
Perché fotografare un concerto? Perché impiegare tempo ed energie con la fotocamera al collo, magari grossa e pesante, a produrre scatti invece di starcene seduti a guardare lo spettacolo per il semplice piacere di farlo?
Un concerto è qualcosa di più dell’ascoltare musica... 30 anni fa c’erano i dischi in vinile e i mangianastri, poi le musicassette e i walkman attaccati alla cintura, poi i cd, oggi gli mp3 e internet. Il concerto è sempre quello di tanti anni fa. Non è unicamente musica. È un insieme di emozioni, di suoni, di colori e di luci. È uno spettacolo che va ben oltre il brano musicale e l’esecuzione. È l’artista che è davanti a te, sul palco, che ti regala una parte di sé, del suo essere, del suo mondo, della sua vita.
Questo è forse ciò che ci fa sentire vicini a chi è davanti a noi su quel palco, che ci da la spinta a voler ricordare e quindi raccontare, da fotografi, un’emozione che è sempre diversa, sempre nuova, sempre forte.
Cito Vittorio Storaro: «Io credo che ognuno di noi dia una parte della propria vita quando tenta di scrivere con la luce.» [...]
«Proprio come fa l’autore musicale con le note, lo sceneggiatore con le parole, così facciamo noi scrivendo con la luce.».
Appunto. Fotografare vuol dire scrivere con la luce.
Tradurre in bianchi, neri, grigi, colori, sfumature e forme, quel turbinio di sensazioni ed emozioni che vola sopra di noi, attraverso di noi, dentro di noi. Raccontare con un’immagine, un tempo, uno spazio e un sentimento insieme. E se ci pensi bene sembra impossibile...
I fotografi però sono persone caparbie e non si arrendono facilmente. Ritrarre un tale flusso di emozioni è forse una delle cose più difficili da fare. Eppure spesso, riescono a rendere immortale quell’attimo, quel momento, che permette di regalare a chi non c’era la grandezza di un evento che ha emozionato una piazza intera.
È la grandezza della fotografia.
E una fotografia è fatta di tecnica e di cuore...
Sulla tecnica possiamo provare a darvi una mano, senza pretese, magari raccontandovi la nostra esperienza professionale e personale.
Il cuore... dovete mettercelo voi!
2 - È buio (non ce lo scordiamo).
I concerti, a meno di occasioni particolari, si fanno di sera. Gli spettacoli di teatro, nella maggior parte dei casi sono al buio o quasi.
E buio lo è davvero, ed è alla fine quello che dobbiamo fotografare. La luce contrapposta alla non-luce.
Ovvero quella poca illuminazione che disegna sull’artista un’espressione, una smorfia o un gesto, o magari sullo strumento e sulla scenografia (naturale o artificiale che sia) un riflesso o un’ombra particolare che inevitabilmente si offrono allo spettatore come catalizzatori di attenzioni e regalano quell’emozione e quell’atmosfera particolari senza le quali lo spettacolo non sarebbe assolutamente lo stesso.
Uno degli errori che vengono fatti più di frequente è cercare di esporre, magari dando retta all’esposimetro della fotocamera, in modo da restituire una scena omogeneamente illuminata. Allo stesso modo qualche milione di blog, forum e “amici esperti” vari, ci raccontano di come esporre queste situazioni più difficili in modo da ottenere un istogramma “corretto”, ovvero senza picchi a destra e a sinistra (alte luci e ombre), altrimenti la foto è sbagliata...
Errato, un’esposizione con un istogramma “corretto” restituirebbe solo un’immagine confusa di una scena mediamente illuminata nel suo complesso, assolutamente irreale e sicuramente molto poco interessante.
L’esposizione più corretta è sulle luci, spot o media sottoesposta di un paio di stop che sia, quella è e quella dobbiamo utilizzare. E il nostro istogramma dovrà essere per forza di cose “sparato” sulle ombre, il nero davanti a noi c’è, e deve essere nella foto. È nero o quasi il cielo, il muro, la quinta, la parete, parte del palco e via discorrendo.
L’esposizione migliore di solito si ottiene con una lettura spot su un punto di alta luce riflessa presente sulla scena, nel nostro caso un piatto o un’asta della batteria, uno strumento come una chitarra con finitura verniciata lucida e di colore chiaro, un abito particolarmente “sgargiante” dell’artista... Se il palco è in legno e individuate un punto illuminato in pieno sarà un grigio 18 ideale...
In pratica ci serve qualcosa che rifletta gran parte della luce incidente, se poi senza grosse dominanti scure (rosso, blu, verde, magenta) ancora meglio. Così facendo porremo in zona 5/6 (dove dovrebbe essere il grigio medio) la luce riflessa al 50% circa, riuscendo a ottenere una gamma dinamica ottimale, in grado di restituire correttamente dal buio assoluto alla luce bruciata dei fari diretti verso l’obiettivo.
Il sensore reagirà alla luce anche in relazione ai valori tonali globali, garantendo tranquillamente una latitudine di posa di 3 - 4 stop abbondanti, di conseguenza un margine di errore abbastanza importante, paragonabile se volete a una pellicola pancromatica (con cui era buona regola, in questi casi, esporre sulle luci per sviluppare sulle ombre). Non ci dimentichiamo che le moderne fotocamere digitali che stiamo utilizzando sono estremamente performanti sotto questo punto di vista, sono in grado di coprire una gamma dinamica anche superiore a 10 stop con una latitudine di posa estremamente flessibile e adattabile.
Se ci trovassimo a dover fare la stessa cosa con un’invertibile a colori, flessibile quanto una corda di violino tirata, l’accuratezza dell’esposizione ci darebbe sicuramente più da pensare...
3 - Un tempo si chiamava ASA (o DIN).
Era la prima cosa da fare: comprare la pellicola adatta.
Oggi si chiama sensibilità o velocità ISO equivalente, ed è in pratica la quantità di “corrente elettrica” che diamo al sensore per funzionare. Più bassa è, più avremo bisogno di luce per scattare, più l’immagine restituita sarà precisa e pulita. Più alta è, meno luce sarà necessaria, ma la nostra immagine diverrà pian piano più imprecisa e “granulosa” con l’aumentare del valore.
Un po’ come succedeva in pellicola, dove più alta era la sensibilità più grossa era la grana, il sensore sviluppa, ad alte sensibilità ISO, una sorta di rumore digitale, tecnicamente chiamato “rumore di luminanza” che è visivamente abbastanza simile alla vecchia grana di una pellicola ad alta sensibilità (1600 ISO e superiori).
Cosa fare dunque? Usare altissimi ISO per avere maggiori possibilità di scatto con tempi veloci e diaframmi chiusi o cercare di ottimizzare il rapporto luce/rumore per avere un’immagine più precisa e pulita con il rischio di scattare al limite delle possibilità fisiche dell’ottica e della macchina?
La risposta giusta sta banalmente nel mezzo.
Le fotocamere più moderne sono in grado di scattare a sensibilità pazzesche senza problemi di rumore, quelle un po’ più datate si difendono comunque bene fino a 800/1600 ISO, e vi garantisco che in pellicola era veramente raro andare sopra questi valori, si ricorreva ai 3200/6400 ISO solo in condizioni veramente terribili... e le foto chissà come mai venivano fuori lo stesso.
Ricordo una collega che una volta, parlando con un’allieva, pronunciò una frase che mi fece subito riflettere. In luce crepuscolare, alla domanda «Che ISO devo usare?», rispose in modo estremamente semplice: «Usa l’ISO come un Jolly» disse, «Se serve un tempo troppo lungo per usare il diaframma di cui hai bisogno alza l’ISO». Trovai questa risposta assolutamente geniale: non solo interpreta perfettamente il senso della velocità ISO, ma slega anche da tutti i preconcetti e le abitudini che i fotografi di vecchia generazione, come me, hanno magari verso un certo tipo di pellicola e di attrezzatura.
Io che ero solito, per questo tipo di scatti, usare Ektachrome o Superia, spesso ragiono direttamente a 1600 ISO, a prescindere da quello che sto realmente guardando, e che forse sarebbe meglio interpretato con altre soluzioni.
In conclusione: usate la sensibilità necessaria.
Partite da valori intermedi e verificate sul campo, cominciate ad alzare l’ISO quando vi rendete conto che la luce è troppo poca... Alla fine state scattando in digitale, una rapida occhiata allo schermo lcd fugherà ogni dubbio.
Se state scattando a 200mm con apertura relativa 5,6 e non riuscite a scendere al necessario 1/200 di secondo e proprio non ne volete sapere di portarvi dietro un cavalletto o siete fotografi “a mano libera”... semplicemente alzate l’ISO!
© www.fotobiettivo.it / gabriele bientinesi
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