Drop Down MenusCSS Drop Down MenuPure CSS Dropdown Menu

sabato 1 marzo 2014

Shabbat Shalom – Ghetto di Roma

Aggiungi questo post al tuo Flipboard
Al Ghetto di Roma ci sono luoghi senza tempo, vicoli nei quali riecheggiano ancora i pianti dei bambini e delle loro madri durante il rastrellamento. Targhe che a leggerle mettono i brividi. Come quella che ricorda la spietata caccia agli ebrei da parte dei nazisti agli ordini di Kappler, del 16 ottobre 1943, davanti al Portico D’Ottavia. Oggi il Ghetto, a parte la Comunità Ebraica, è un quartiere per ricchi e vip di tutte le razze, con attici milionari, un’intensa vita notturna e turisti con l’aria stralunata. Poi ci sono loro, ai margini. Quelli che nessuno vede. Gli accattoni…

di Fabio Palumbo (foto di Marco Palladino)

Enzo Condelli è pittore su legno. Tavole, cubi, scarti di falegnameria. Espone le sue opere davanti alla chiesa di Santa Caterina, in via dei Funari, angolo via Caetani, altro luogo che ricorda pagine infami di questo Paese. Beautiful! Grida Enzo, indicando i dipinti ai turisti che si avvicinano. Questi sbirciano di traverso, poi se ne vanno in fretta. Nella stessa via, al 16, tanti anni fa Enzo aveva bottega. È stato cacciato con la forza. Malmenato e sbattuto fuori, almeno così racconta. Oggi ci sono dei box auto, niente più botteghe. Quando gli chiedo come si vive al Ghetto, fa una smorfia, poi sottovoce dice che la gente non lo tratta bene, ma lui non se ne va, resiste. In via dei Funari c’è tutto il suo mondo. La casa di cartone, l’ufficio di palanche e chiodi, i dipinti in bella mostra.

Enzo Condelli, pittore su legno - vai alla gallery >>

Svolti l’angolo e t’imbatti in Geremia. Occhi e barba da profeta, ai piedi solo un paio di calzini di lana pesante. Sosta spesso davanti all’Antico Forno, senza disturbare, con la speranza di racimolare un pezzo di pizza. Al primo sguardo può sembrare uno dei tanti, ma se ti fermi a osservarlo non puoi fare a meno di riconoscergli un certo stile. Un portamento dignitoso, carismatico. Vive in una casa di cartoni e stracci non distante. È un mendicante vecchio stampo, di quelli che al massimo bofonchiano una mezza parola. Le parole non escono, gli rimangano incagliate in gola. Allunga la mano solo dopo che hai tirato via dalla tasca qualche spicciolo, mai prima. Se gli chiedi qualcosa non risponde, se ne va caracollando lento, avvolto in un pastrano scuro e lercio che gli arriva alle caviglie. Sfila verso Piazza Mattei come un fantasma pieno di paure e di parole non dette.

Tramonto infuocato sul teatro di Marcello, al Ghetto - vai alla gallery >>

A via di Sant’Ambrogio c’è Franco. È un con-tetto, lui. Mendicante sì, ma con una casa sulla testa. Vive in periferia ma è qui che tira su la giornata. Racconta che al Ghetto la gente è generosa. Lavorava come pony express in nero. Fu licenziato dopo una caduta in motorino che ancora lo costringe a girare con una stampella. Franco ha la barba bianca, gli occhiali spessi e un cappello di almeno due taglie più piccolo. Non si ferma mentre parla, continua a battere tutto il quartiere, senza sosta. Saluta con una pacca sulla spalla, ride di gusto. Ficca la testa nel “Museo del Louvre”, in via della Reginella, notevole libreria antiquaria e galleria con oltre trentamila foto, la maggior parte di autori sconosciuti. Rimedia qualche moneta anche lì e poi riparte.

Davanti al Portico D’Ottavia, nascosta tra macchine e spazzatura, vive la senzatetto più famosa del Ghetto. Sta lì da sempre, nel suo inespugnabile fortino di buste, carrelli, ombrelli e cianfrusaglie varie. Anche lei non parla mai, il suo nome è un mistero. C’è chi azzarda e la chiama Bianca, ma forse solo per i suoi capelli che sembrano fiocchi di neve. È ostica come la faccia, piena di segni che si porta dietro, e ti guarda truce se provi a fotografarla. Se ne sta stravaccata su una sedia bianca a due passi dalla Sinagoga, in un posto strategico, dove può vedere tutto e pochi vedono lei. A volte la cacciano via, si allontana oltre il Tevere per qualche ora, poi quando torna il sereno si piazza di nuovo a casa sua, davanti all’immensa bellezza del Portico D’Ottavia.

Musicista di strada al Ghetto - vai alla gallery >>

A pochi metri suona la fisarmonica uno zingaro con la faccia sorridente e i baffetti neri. Saluta tutti dicendo Shalom, Shabbat Shalom! e a ogni foto suona il suo strumento con più energia, come per far entrare la musica dentro lo scatto. Nella scatola di cartone che ha davanti ci sono pochi centesimi: qui passa tanta gente, ma nessuno lo vede. Uno dei tanti invisibili. La fisarmonica sembra accompagnare le persone che passano, un adagio per i turisti dal passo lento e un andante per i romani svelti e indifferenti. L’ultimo è Alvaro. Chiede l’elemosina ma non pare un accattone. È pure vestito decentemente, con la barba di pochi giorni e la faccia lavata ogni mattina. È figlio di questa crisi economica, o forse padre di quella precedente. Camicia manica corta a quadrettoni, come le tovaglie della Sora Margherita, la trattoria più casereccia del Ghetto, con i suoi grandiosi carciofi alla giudia. Ha gli occhi spiritati.

C’è chi azzarda e la chiama Bianca - vai alla gallery >>

Chiedo anche a lui come vive un mendicante al Ghetto, ci pensa su, poi dice che gli Ebrei non gli piacciono perché si sentono i padroni del mondo. Sembra voler continuare, ma si mette la mano davanti alla bocca e cambia strada. Per un attimo lo seguo, mi fa cenno di lasciarlo in pace. Sparisce inghiottito dal caos di Piazza Delle Cinque Scole. Tanti altri vagano come fantasmi per le strette vie del Ghetto, invisibili, così come tutti i fantasmi che aleggiano in questo pezzo di Roma. I morti ammazzati, sterminati dalla soluzione finale nazista.

© 2015 Fabio Palumbo – www.fotobiettivo.it

“Nel corso della soluzione finale gli ebrei saranno instradati, sotto appropriata sorveglianza, verso l'Est, al fine di utilizzare il loro lavoro. Saranno separati in base al sesso. Quelli in grado di lavorare saranno condotti in grosse colonne nelle regioni di grandi lavori per costruire strade, e senza dubbio un grande numero morirà per selezione naturale. Coloro che resteranno, che certo saranno gli elementi più forti, dovranno essere trattati di conseguenza, perché rappresentano una selezione naturale, la cui liberazione dovrà essere considerata come la cellula germinale di un nuovo sviluppo ebraico.” (Dal protocollo di Wannsee del 20 gennaio 1942)

































Lo hai trovato interessante? Condividi con i tuoi contatti:
Aggiungi questo post al tuo Flipboard