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sabato 17 settembre 2011

Salonicco (Grecia) ai tempi della crisi economica

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La crisi economica che sta investendo l’Europa e sembra aver messo in ginocchio economie di interi paesi, quasi in un vortice che lentamente dalla periferia si muove verso il centro, ha trovato nella Grecia un punto di svolta per le coscienze europee.

Per quanto marginale dal punto di vista economico, la Grecia è l’Europa; l’Europa è un idea greca, antichissima. < Questo particolare momento storico, visto da una città che non è Atene, ha un sapore tutto particolare, in buona parte perché Salonicco è una città molto più piccola e in qualche modo condensa in luoghi sovrapposti tutte le contraddizioni che vive il paese, con ovviamente delle caratteristiche tutte sue.


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La crisi diplomatica tra Germania e Grecia, ad esempio, mi viene raccontata da un disoccupato di 50 anni, ex operaio e tuttofare, che partecipa all’occupazione di piazza sul lungomare. Me la racconta in una telefonata, tra lui e sua moglie, tedesca, attualmente in Germania, la quale alla sua richiesta di mandargli del denaro reagisce con le parole della propaganda politica conservatrice, “tu greco vuoi i nostri soldi” mescolando alquanto piano privato e collettivo: un chiaro segno dei tempi.
Salonicco è una città davvero piena di contraddizioni, fuori da facili stereotipi lessicali. Ci sono andato tramite una nota compagnia di voli low-cost che ha appena attivato una tratta diretta da Roma, tutti i giorni, segno evidente del crescente richiamo turistico di questa meta, pur in tempi di crisi.



La cosa che non può non colpire subito, camminando anche solo sul lungomare, è l’impressionante sequenza di bar, cafè e locali notturni, aperti fino a tardi, tutti pieni di gente che sembra davvero vivere in una realtà parallela, forse perché in gran parte studenti universitari provenienti da tutta la Grecia, o forse semplicemente perché vivono questi tempi in un modo del tutto ellenico.

La lentezza, piacevole e levantina, è un tratto di questa città che non si vede affatto in Atene, che mi ricorda molto del Medio Oriente e in un certo senso mi fa sentire questa città come più europea, nel senso più ancestrale del termine. I ristoranti sono sempre pieni, non solo il weekend, la gente non rinuncia a questo modo di vivere che ricorda molto l’Italia di 20-30 anni fa, almeno per quanto riguarda le grandi città.

D’altronde si può sedere a un bar, ordinare un caffè e poi restare per ore, fumando liberamente ovunque, lasciando che il tempo scorra anche sulle preoccupazioni, una lentezza che a me sembra terapeutica. Gran parte degli amici greci che incontro hanno problemi di lavoro, disoccupati e pro-tempore, ma se ne discute seduti su divanetti sorseggiando caffè e fumando, mescolandoci dentro battute e discorsi leggeri, il che sembra rendere il tutto assai più sopportabile.

La scelta dei giovani occupanti è invece diversa, più che altro sembra una reazione, coordinata certo, ma del tutto disorganizzata, in cerca di una identità politica che non sia preda di alcun partito, tutti ugualmente colpevoli, per questi ragazzi, di aver abbandonato i poveri e le persone in difficoltà per seguire logiche monetarie e finanziarie. Quanto tutto ciò ricordi la situazione Italiana è evidente.

Tra l’altro gran parte di questi giovanissimi, ma anche cinquantenni rimasti senza lavoro e stanchi di starsene a casa depressi, imputa all’euro molti dei problemi economici attuali e chiederebbe, se potesse, il ritorno alle drakme. Ma ovviamente colpevole è l’intera classe politica, corrotta, senza eccezioni. Che governa il paese con fare dittatoriale, e qui il ricordo dei generali non è così sbiadito.


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Non a caso si sono registrate negli ultimi anni diverse aggressioni “spontanee” a personaggi politici, da parte della folla. La reazione del governo sembra andare verso un inasprimento della repressione. Una cosa che salta all’occhio anche di un nuovo arrivato è infatti l’aspetto della polizia. Non sembra tale.
Questa impressione mi viene confermata da un altro contestatore, un uomo di cinquanta anni, tecnico informatico disoccupato. Il governo sta trasformando la polizia in un esercito di picchiatori. E’ vero, sembrano dei buttafuori piuttosto che poliziotti, tutti palestrati, dai modi rozzi, vestiti in tenuta antisommossa estiva. Tutto questo fa davvero impressione.



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Questo che si raccoglie è un movimento del tutto diverso, democratico nel senso pieno del termine, quindi in termini di società attuale: inefficiente. Ma a loro non sembra interessare, intanto vogliono uscire dal guscio, rimarcare un’esistenza che ha dignità anche senza quattrini, infischiandosene di avere una voce in rappresentanza, avendo in diffidenza gran parte dell’establishment, media inclusi, anzi media per primi.

Anche a me non riservano una buona accoglienza all’inizio, solo dopo aver chiarito che il mio interesse per i loro problemi è sincero e non verrà distorto dalla propaganda, accettano di condividere qualche pensiero, in verità solo gli adulti, la cui consapevolezza viene da più lontano, non tanto i ragazzi, un po’ persi nel comporre la loro canzone, mi spiegano, chiedendomi addirittura di non fare rumore mentre la registrano con un cellulare, quasi che questa sia il canto omerico della loro storia, un canto sentimentale tra l’altro, non politico, una tessitura di parole ed emozioni di fronte alla quale interviste e fotografie non reggono, perché sono cose che hanno dimostrato di essere manipolabili dalla propaganda.
E come dargli torto.

Alla sera il lungomare si popola di bancarelle di dolciumi e pannocchie e persone a passeggio, il movimento di piazza si mescola con il popolo comune, si sovrappone, si confonde il senso ma si sente finalmente come questi siano solo la punta dell’iceberg, non facinorosi dei centri sociali, come li chiamerebbe sicuramente qualche rozzo politico nostrano.
Qui si tengono dei meeting aperti. Chiunque è libero di prendere la parola, non ci sono leader riconosciuti, le idee devono essere messe a confronto, tutte, sembra anzi che questo esercizio di democrazia sia lo scopo reale, non tanto per elaborare istanze da presentare a potenti verso cui si nutre solo disprezzo e pregiudizio, ma proprio per riappropriarsi di quell’antico esercizio di libero pensiero che in questa terra ha fondato la civiltà europea di cui ancora oggi ci fregiamo.


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Sabato mattina, il 4 giugno, i lavoratori dell’azienda idrica locale manifestano in piazza contro la privatizzazione. Non sono molti, riempiono a malapena un quarto di Piazza della Libertà, 200-300 persone al massimo. Il corteo che passa davanti Ote Tower, la torre sotto cui sono accampati i protestatori, non si ferma nemmeno sul lungomare dove questi tengono le loro libere assemblee cittadine, ma tira avanti, probabilmente non volendo mescolarsi con quelli che il governo considera facinorosi, quindi rinunciando a una dimensione generale per salvare la contrattazione sul loro problema particolare, anche questo un segno dei tempi, del” si salvi chi può” che segna la vita civile.


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Un brutto segno sicuramente, ma è qualcosa che accade spesso.

Ritornando, dopo pochissimi giorni, da questa realtà così esemplare, restano più domande che risposte, la consapevolezza di sapere pochissimo di questa terra che ha fondato la civiltà occidentale, le cui origini ho studiato largamente sui libri di storia, ma il cui presente sfugge alla ribalta, perché oggi il valore di una nazione si misura in pil e competitività con la Cina. Ma non qui, non in questo fazzoletto di civiltà, a ridosso di una torre antica, tra quattro tende che portano appesa una bandiera ellenica, in un caldo asfissiante e senza acqua, in questo angolino davanti al mare, strappato alla barbarie del consumismo e dell’edonismo con cui il potere ha sedotto le coscienze e spento le intelligenze, quasi portando avanti un piano ben preciso.

E hanno ragione, per non vederlo bisogna proprio impegnarsi.

© fotobiettivo.it/Marco Palladino/S4C






















































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